The Irresistible New Cult of Selenium (2018) 6,5
Hyenaeh (2019) 7
Bergie Seltzer (mini) (2022) 7
Quartetto dell’entroterra perugino formato nel 2016, John Malkovitch! provano lunghe improvvisazioni strumentali in studio e le fanno confluire nella suite-sinfonia post-rock del loro debutto, The Irresistible New Cult of Selenium (2018). Più suggestive del resto sono spesso introduzioni e conclusioni. Il primo movimento, Marker Underneath the Surface, sorta di ouverture, attacca con vibrazioni elettroniche diafane, come una versione ambientale della Metal Machine Music di Lou Reed; la sovrasta e zittisce una tipica sonata lenta e arpeggiata (poi nella sua ancor più classica variazione a tifone), dunque il lirismo rassicurante prevale sull’astrazione disorientante. Lo stesso vale per i pezzi più lunghi. Twice in a Moment Twice in a Lifetime (12 minuti) muove da un’interessante suspense progressiva di accordi tremuli a condurre verso la combustione distorta. Solo all’apice dell’enfasi emerge un’idea melodica (apocalittica), e il tutto finisce col ricordare più i Pink Floyd di Sheep (meno ovviamente i vaticini deliranti di Waters) che i soliti Pelican e Isis. Il complesso perde diverso tempo ad arpeggiare a vuoto, ma in chiusa ci sono anche un paio di brevi momenti di originalità, una marchetta circense sfumatissima e una liquefazione incandescente. Zenit (14 minuti) ha un’altra efficace intro di soli feedback persi in allucinazioni paradisiache; più greve la progressione che conduce alla solita grandeur, anche se nella marcetta del pre-finale il modello sembra l’acquarello-trance chitarristico dei Red House Painters. Ancora un inizio creativo in Nadir (14 minuti): una trance plumbea e instabile che figlia una assolo acid-rock mentre prende forma un’ipercinesi alla Ozric Tentacles. Se Zenit suonava ridondante, Nadir diviene una ripartenza, a cominciare dal ritmo acceso, quasi frenetico, come pure nella melodia, che finalmente ha un suo contrappunto vero e proprio, infine per un momento di quasi dissonanza prima del finale sconsolato. Discretamente innovative le due chitarre (spaziano dalla filigrana inaudibile alla furia metal-gaze) perlopiù deludente la sezione ritmica. Il complesso fa incetta dei cliché del caso (alcuni davvero elementari) riscattandosi comunque nelle architetture imponenti e nei tempi epici.
I due pezzi maggiori di Hyenaeh (2019), Carnassiale e Grande Madre Gialla, introducono la band in una nuova dimensione di grande accuratezza compositiva, in realtà fondata su elementi essenziali: droni distorti, stacchi di batteria, largo uso del silenzio. Di qui possono scaturire adagi sinfonici dispersi nell’etere, come pure marce di guerra di rullate e frustate, oltre a figure astratte a base di piatti e basso (un basso che peraltro ora incarna il ruolo di maestro di cerimonia armonico, svariando con rovinosa fluidità dal doom al thrash) e accordi finali che risuonano di tregenda. xxKübler Ross espone la stessa classe multiforme anche in esplorazioni post-metal più contenute e meno spaventose, comunque sfaldate sotto il peso della dannazione (Coda Corta).
Il mini Bergie Seltzer (2022) continua nella stessa linea e anzi ne estrae una rozza essenza derivata dalla registrazione buona la prima (discretamente diversa da quella ben curata di Hyenaeh). Lo spettro sonico si amplia espressionisticamente, incorporando dettagli-chiave che ancora mancavano: la musica industriale e persino la musica concreta. La sezione ritmica va all’impazzata, quasi in maniera opposta a quanto accadeva nel disco d’esordio. Il suono è catastrofico fin dalle laceranti distorsioni dell’assaggio di Primo Blocco. Grande Cattura (9 minuti) potrebbe essere il loro capolavoro: da un pesante clima oscuro da Berlioz (tempesta elettromagnetica, coro d’oltretomba, segnali intergalattici) cui segue una libera, scatenata fantasia strumentale doom infine inghiottita da una lava di rumore bianco.
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